COVID-19: se il dolore dell’altro è dolore a metà

Sullo spunto mosso dal dott. Roberto Leonardi (Leggi l’articolo La responsabilità medica ai tempi del Covid-19), la dott.sa Federica Morganti, psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, prosegue la riflessione esaminando le conseguenze che la pandemia da coronavirus può generare sugli operatori sanitari. Lo fa adoperando la prospettiva di chi, per mestiere, indaga la materia sottile della mente, e sollecita considerazioni che non appaiono sempre di pronta percezione.

Uno sguardo empatico

In una condizione epocale (non propriamente necessitata dall’emergenza sanitaria, ma brutalmente usuale) in cui l’altro è ammesso o misconosciuto secondo i termini di misurabilità e immediatezza del fare, è ovvio che sfugga alla capacità del singolo (e della collettività) l’esercizio dell’empatia, che invece riguarda l’essere, troppo spesso relegato nel perimetro del romanzetto rosa.

Mi ha colpito la notizia, apparsa quale giorno fa on line (https://www.fanpage.it/attualita/coronavirus-i-condomini-mettono-alla-gogna-la-dottoressa-che-vive-nel-palazzo-stia-attenta/) di una dottoressa che, nel tornare a casa dal suo turno di assistenza ai malati di coronavirus, ha visto affisso un cartello che la richiamava (forse superfluamente) ad attenersi alle regole igieniche per non danneggiare due condomine, neonata una e vedova ottantenne l’altra. Mi ha colpito non perché (pensavo) la dottoressa già conoscesse quelle precauzioni (l’azione era “inutile”), ma perché il testo del cartello, inaugurato con “cara dottoressa”, appariva una pungente offesa a chi aveva appena finito il turno di assistenza a malati di COVID-19 (l’azione era “cattiva”). Ho provato a immedesimarmi nella dottoressa, esercizio spirituale che, per via della mia occupazione, posso praticare spesso.

Il risultato non è stato gradevole, pur sapendo che la faccenda non riguardava me.

Apprendo allora dal testo della dott.sa Morganti che, tra i fattori di stress dell’operatore sanitario, c’è anche la stigmatizzazione altrui a causa del suo ruolo di soccorritore degli infetti; il che sta a significare che la circostanza del cartello è l’espressione di un fenomeno assai più diffuso e variegato nelle forme.

Conseguenze

La considerazione degli effetti psicologici sugli operatori sanitari alle prese con la le cure da COVID-19 coinvolge almeno due campi di indagine, sollecitati dalla lettura del testo della dott.sa Morganti: da una parte la lesione della sfera psicologica dell’operatore-lavoratore (che è un danno per l’operatore stesso, come tale suscettibile di richiesta di risarcimento anche nei confronti del datore di lavoro, a certe condizioni) e dall’altra la compromissione della sua prestazione (che è un danno per il paziente, anch’esso suscettibile di pretesa risarcitoria).

Con effetti, in entrambi i casi, negativi sia sul singolo sia sulla collettività.

Operatori sanitari  e pandemia da COVID-19: aspetti psicologici (dott.sa Federica Morganti)

Vittime

Martedì 7 Aprile 2020 sale a 94 il numero dei medici vittime del COVID-19, a 26 quello degli infermieri e ad un totale di circa 12.252 i sanitari contagiati. Sempre più soventemente li sentiamo chiamare “i nostri angeli”, “i nostri eroi”, le prime vittime al fronte di un nemico invisibile e sconosciuto. Da un punto di vista psicologico questa pandemia e tutto ciò che ne comporta si presta a molteplici riflessioni, ma oggi vorrei soffermarmi, con l’aiuto della psicologia delle emergenze e di studi già eseguiti all’epoca della SARS nel 2003, sul possibile vissuto psicologico ed emotivo degli operatori sanitari in prima linea.

Se tutti noi ci soffermassimo a pensare, anche solo per un attimo, a come staremmo nei loro panni verosimilmente percepiremmo una forte tensione, ansia, uno stress tale che ci permette, in questa situazione, di empatizzare con loro.

Ma cos’è lo stress? Come agisce a livello psico-fisico? Selye definì lo stress come “la risposta strategica dell’organismo nell’adattarsi a qualunque esigenza, sia fisiologica che psicologica, cui esso sia sottoposto. In altre parole, è la risposta aspecifica, adattativa dell’organismo a ogni richiesta effettuata su di esso”.

Cosa è lo stress

Da ciò ne consegue che lo stress non va considerato solo nell’accezione negativa ma anche in quella positiva, esso infatti ci assicura la sopravvivenza. Se non lo provassimo non avremmo quella spinta necessaria per uscire dalla nostra zona di comfort e per trovare tutte quelle soluzioni che ci permettono l’adattamento all’ambiente. In questo caso si parla si eustress ossia di uno stress positivo da contrapporre al distress ossia allo stress negativo. Quest’ultimo si genera quando la tensione si protrae a lungo e/o quando il soggetto non si sente in grado di gestire la situazione provando così un sovraccarico fisico ed emotivo di ansia e di incertezza che possono portare a malesseri fisici, psicologici, al cosiddetto esaurimento e Burn-out. Nel caso degli operatori sanitari lo stress positivo può essere ad esempio quando la tensione è necessaria per risolvere in modo efficiente la situazione, negativo quando, ad esempio, si trovano a dover operare senza le giuste risorse o un’organizzazione adeguata. Gli stressors sono tutti quegli stimoli, di diversa natura, che portano a stress fisico o psichico, come è intuibile in ogni situazione emergenziale se ne possono individuare di diversi. Vengono studiati, classificati, e ideati dei protocolli proprio per ovviare alla maggior parte di essi. Pensiamo al terremoto, dalla protezione civile, agli ospedali, dalle scuole alle aziende tutti sanno cosa c’è da fare e anche cosa aspettarsi. In questa situazione, purtroppo, non è così, veri e propri protocolli, così come la giusta organizzazione non erano presenti quando il COVID-19 fece la sua comparsa in Italia. Anche gli agenti stressanti (stressors), non sono quelli noti in altre emergenze, se ne sono aggiunti dei nuovi con maggiori rischi per la salute fisica e il benessere psicologico degli operatori sanitari. Per tale ragione IASC (Inter Agency Standing Committee) ha pubblicato in diverse lingue una nota informativa intitolata “Gestire la salute mentale e gli aspetti psicosociali  dell’epidemia di Covid-19” (versione 1.5, 17 Marzo 2020), dedicando alcuni paragrafi proprio agli operatori sanitari. Ne riporto qui una parte:

“Gli operatori che si trovano in prima linea (tra cui infermieri, medici, autisti d’ambulanza, diagnosti, tecnici di laboratorio, ecc.) vanno incontro ad ulteriori fattori di stress durante l’epidemia:

▪ Stigmatizzazione nei confronti di coloro che lavorano a contatto con pazienti infetti

▪ Misure di bio-sicurezza molto rigide:

– Stress fisico causato dai dispositivi di protezione

– Isolamento fisico che rende arduo dare conforto alle persone malate o in difficoltà

– Stato di allerta e vigilanza costante

– Procedure rigide che precludono la spontaneità e l’autonomia

▪ Richieste sempre maggiori sul lavoro, quali turni estremamente lunghi, numero di pazienti elevato e necessità di aggiornarsi costantemente sugli sviluppi metodologici poiché giorno per giorno si scoprono informazioni nuove sul virus

▪ Possibilità ridotta di avere un supporto sociale a causa degli orari di lavoro estremamente intensi e dello stigma che vi è nella comunità nei confronti di chi lavora in prima linea

▪ Energia insufficiente per mantenere un’adeguata cura di sé, in particolare per chi ha delle disabilità

▪ Mancanza di informazioni circa le conseguenze dell’esposizione a lungo termine a soggetti positivi al COVID-19

▪ Timore che coloro che lavorano in prima linea possano contagiare amici o parenti a causa del loro lavoro”

Per questo invitano anche tutti i responsabili di equipe, coordinatori o dirigenti a “preservare tutto il personale dallo stress cronico e di mantenerlo in buona salute psicologica durante la risposta a questa emergenza, in modo da favorire una migliore capacità degli operatori di adempiere ai loro ruoli – sia che si tratti di operatori sanitari che operatori di supporto”. Tra le varie buone pratiche da adottare ci sono il garantire il giusto riposo, far circolare al meglio le informazioni in modo da aiutare il professionista sanitario a sentirsi più sicuro e a riacquistare un certo senso del controllo, garantire un pronto soccorso psicologico a tutti qualora ne sentissero il bisogno. Questo perché, in generale, gli effetti di uno stress forte e prolungato sono ben noti in letteratura e possono causare Disturbo Acuto da stress, Disturbo Post Traumatico da stress, Burn-Out, Disturbi d’ansia, Depressione, Disturbi Psicosomatici, del sonno, della sfera sessuale e dell’alimentazione. Non è raro infatti assistere a un aumento delle richieste di sostegno psicologico o psicofarmacologico a seguito di un’emergenza di una certa portata. Ovviamente la maggior parte del personale sanitario è preparato nella gestione di catastrofi, ma in questa situazione caratterizzata da imprevedibilità ed incertezza nella quale bisogna affrontare un nemico sconosciuto ed invisibile, entrano in campo, come già spiegato, nuovi aspetti che possono destabilizzare il benessere psico-fisico di medici ed infermieri. Alcuni di essi ci vengono illustrati anche da diversi studi condotti a seguito della diffusione della SARS nel 2003.

Ricerche epidemiologiche

Nel 2004 una ricerca svolta su 388 membri dello staff medico di un ospedale di  Taiwan  rileva che il 5% di essi soffre di un Disturbo Acuto da Stress, il 20% si sente stigmatizzato e rifiutato dai propri vicini a causa del lavoro in ospedale,  il 15% ha scelto di non ritornare a casa durante l’epidemia per paura di infettare i propri familiari, la malattia infatti aveva un periodo lungo di incubazione e questo ha costretto molti di loro a vivere lontani dalla famiglia facendo venire meno il supporto sociale essenziale in queste situazioni. Circa il 9% inoltre ha preso in considerazione di presentare le dimissioni.

La paura di contagiare i propri cari e di essere vittime di discriminazione sono confermate anche da un altro studio del 2004 sul personale medico di Toronto. Inoltre, il 29% di essi, soprattutto gli infermieri, riporta un forte disagio emotivo nel GHQ-12 (questionario per valutare il benessere generale).

Lo studio più recente pubblicato il 23 Marzo 2020 effettuato in 34 ospedali di diverse zone della Cina, su 1257 operatori sanitari, riporta che più del 70% manifesta un disagio psicologico come: depressione (50,4%), ansia (44,6%), insonnia (34%) e angoscia (71,5%). Le fonti di sofferenza sembrano associarsi a :

  • Sentimenti di vulnerabilità o perdita di controllo
  • Preoccupazioni per la propria salute e quella dei propri cari
  • Diffusione del virus
  • Cambiamenti lavorativi (per es. protocolli assenti o in continua evoluzione)
  • Isolamento
  • Prevedibile carenza di forniture
  • Crescente afflusso di casi sospetti ed effettivi di COVID-19
  • Potenziale mortalità
  • Modalità di trasmissione (ossia uomo-uomo) che può intensificare la percezione di pericolo personale.

Ma molti altri sono gli aspetti umani e professionali sui quali si può riflettere che vanno di pari passo con l’evolversi della situazione, della percezione collettiva e di un tempo più soggettivo che oggettivo. Ne tratto di seguito alcuni:

  • La mancanza di una cura.

Questo sottopone il medico ad una pressione importante che può unirsi alla paura di sbagliare o di peggiorare la condizione del paziente. Non permette alla sua mente di riposare, di “staccare” perché intenta a trovare soluzioni possibili. Potrebbe sentirsi eccessivamente responsabile e in colpa assistendo ai tanti decessi e repentini peggioramenti che sembrano tipici nel COVID-19. Tutto può cambiare da un momento all’altro insomma e questo spinge la persona ad essere sempre in allerta e poco a riposo.

  • Vedere colleghi ammalarsi o morire.

È intuibile la sofferenza che può generare, soprattutto in caso di morte. Bisogna essere operativi, forse si fa fatica a trovare il tempo anche di piangere, la mente potrebbe generare pensieri del tipo “potevo essere io” e far scattare sensi di colpa (senso di colpa del sopravvissuto). Inoltre, i molti operatori sanitari in quarantena comportano una riduzione del personale che in molti casi è sostituito da nuovi colleghi di altre strutture o appena abilitati. Ciò accresce di certo il senso di responsabilità e il ricorso a maggiori risorse attentive.

  • Non sapere quando finirà.

È un’emergenza sanitaria la cui fine non è nota. Si possono fare delle stime ma tali restano. Questo può aumentare lo stress degli operatori sanitari chiamati ad un sacrificio fisico e psicologico continuato. Non visualizzare la fine o l’obiettivo fa percepire più gravoso lo sforzo che si sta compiendo.

E’ chiaramente fondamentale offrire supporto psicologico a questi professionisti della salute, sia ora che in momenti successivi perché, la pandemia passerà, si troverà un vaccino ma loro continueranno ad esercitare la loro professione e dobbiamo metterli in grado di poterlo fare in modo sereno.

Dott.ssa Morganti Federica

Psicologa-Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

federica.morganti@gmail.com

Riferimenti bibliografici e sitografia:

IASC (Inter Agency Standing Committee)“Gestire la salute mentale e gli aspetti psicosociali  dell’epidemia di Covid-19” (versione 1.5, 17 Marzo 2020)

M.T. Fenoglio “Le emozioni dei soccorritori”, Rivista di psicologia dell’emergenza e dell’assistenza umanitaria”, .4,2010

A. Lo Iacono “Lo psicologo in emergenza”, Istituto Psicoumanitas

H. Selye, Forty years of stress research: principal remaining problems and misconceptions CMA Journal, 1976

YaMei Bai, M.D.Chao-Cheng Lin, Chih-Yuan Lin, Jen-Yeu Chen, Ching-Mo Chue, Pesus Chou, “Survey of Stress Reactions Among Health Care Workers Involved With the SARS Outbreak”, psychiatric services,September 2004 Vol. 55 No. 9

Leslie A. Nickell, Eric J. Crighton, C. Shawn Tracy, Hadi Al-Enazy, Yemisi Bolaji, Sagina Hanjrah,

Ayesha Hussain, Samia Makhlouf, Ross E.G. Upshur  “Psychosocial effects of SARS on hospital staff: survey of a large tertiary care institution”2 mars 2004