Diritto di conoscere le proprie origini

La Cassazione (Sez. 1, n. 03004/2018) ha ribadito il principio espresso da Sez. 1, n. 15024/2016, secondo cui, nel caso di cd. parto anonimo, sussiste il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identità personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine di cento anni, dalla formazione del documento, per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica.

Ma la pronuncia più innovativa in tema è Sez. 1, n. 06963/2018, Acierno, Rv. 647764-01, con cui la S.C., muovendo dalla centralità del diritto all’identità personale nell’attuale sistema costituzional-convenzionale, già affermata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 1946 del 2017, ha riconosciuto all’adottato il diritto di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti non solo l’identità dei propri genitori biologici, ma anche quelle delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare.

La sentenza si contraddistingue anzitutto per la messa a fuoco dei contenuti del diritto all’identità personale, di cui il diritto a conoscere le proprie origini costituisce un’espressione essenziale: “lo sviluppo equilibrato della personalità individuale e relazionale si realizza soprattutto attraverso la costruzione della propria identità esteriore, di cui il nome e la discendenza giuridicamente rilevante e riconoscibile costituiscono elementi essenziali, e di quella interiore. Quest’ultimo aspetto, più complesso, può richiedere la conoscenza e l’accettazione della discendenza biologica e della rete parentale più prossima”.

Diritto di conoscere le proprie origini

Il diritto dell’adottato di conoscere le proprie sorelle e i propri fratelli biologici non ha tuttavia, secondo la Corte, la stessa assolutezza che connota il diritto a conoscere i genitori biologici.

In quest’ultimo caso, il diritto è funzionale alla costruzione dello status filiationis, cioè di una condizione fondativa dell’individuo espressamente sancita nella Carta costituzionale, su cui converge un fascio di interessi, di tipo patrimoniale e non patrimoniale. Nel primo caso invece, osserva la S.C., “può legittimamente determinarsi una contrapposizione tra il diritto del richiedente di conoscere le proprie origini, e quello delle sorelle e dei fratelli a non voler rivelare la propria parentela biologica ed a non voler mutare la costruzione della propria identità attraverso la conoscenza d’informazioni ritenute negativamente incidenti sul raggiunto equilibrio di vita”.

Pertanto, “l’esercizio del diritto nei confronti dei genitori biologici e nei confronti degli altri componenti il nucleo familiare biologico-genetico originario dell’adottato, non può realizzarsi con modalità identiche”. Solo nel caso dei genitori, il diritto alla conoscenza delle proprie origini si può configurare alla stregua di un diritto potestativo. Nel caso delle sorelle e dei fratelli, può farsi ricorso alla diversa modalità procedimentale già sperimentata dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1946 del 2017, riconoscendo loro “il diritto di essere interpellati in ordine all’accesso alle informazioni sulla propria identità, trovandosi a confronto posizioni giuridiche soggettive di pari rango e di contenuto omogeneo sulle quali non vi è stata alcuna predeterminazione legislativa della graduazione gerarchica dei diritti e degli interessi da comporre, come invece previsto nei commi 5 e 6 dell’art. 28, con riferimento all’adottato maggiorenne che voglia conoscere l’identità dei propri genitori biologici”.